\ Il Mensile di Informazione \ Dicembre 2002 \Intervista a Sergio Rodda - API

 

LA CRISI FIAT TRAVOLGE LE PMI

di Elia Rinaldi

Mentre istituti accreditati di ricerca, da quando è scoppiato il "caso Fiat", si affannano a fornire numeri e stime sulla dimensione della crisi, l'API di Torino già a giugno di quest'anno aveva presentato un'indagine realizzata tra le imprese dell'indotto auto per monitorare e trovare una via d'uscita dalla crisi che avrebbe travolto, da li a poco, le PMI legate all'azienda torinese. A fare il punto della situazione, dalla presentazione della ricerca ai << giorni della crisi >>, insieme a Ecomy è il presidente dell'Associazione delle Piccole e Medie Imprese di Torino, Sergio Rodda.


Qualche settimana fa, aprendo i lavori della sesta conferenza del Global Outlook, il condirettore generale di Capitalia, Carmine Lamanda, ha sottolineato che << dall'ultima indagine strutturale sull'industria manifatturiera italiana, condotta dall'Osservatorio di Capitalia sulle Piccole e Medie Imprese, risulta che il numero delle imprese esportatrici rimane basso >>.  Presidente, perché le PMI non esportano abbastanza? 

<< Fermo restando che il grado di internaziolizzazione delle imprese resta ancora basso anche per le imprese che forniscono un prodotto finito, in generale nel comparto della componentistica le imprese non sono ancora in grado di presentarsi sul mercato internazionale >>.

Quindi anche molte delle PMI dell'indotto Fiat?

<< In questo caso credo che sia giusto fare una distinzione tra le imprese che sono impegnate nel cosiddetto primo, secondo e terzo livello di fornitura >>.

In altre parole?

<< Le imprese che forniscono un prodotto finito alla Fiat appartengono al primo livello, mentre le imprese che realizzano componenti o particolari per l'impresa di primo livello fanno parte rispettivamente del secondo e terzo livello. Ecco quest'ultime, sia per la natura della loro lavorazione sia per la dimensione della loro impresa, hanno maggiori difficoltà ad inserirsi con successo in un mercato internazionale >>.

Inoltre, Lamanda nel corso della conferenza ha sottolineato che << la scarsa internazionalizzazione è un sintomo della debolezza strutturale dell'economia italiana, del suo cosiddetto nanismo, al quale hanno concorso fra l'altro la pervasiva presenza di uno stato inefficiente, le rigidità del mercato del lavoro ed un patrimonio infrastrutturale inadeguato>>. Lei è d'accordo con le considerazioni espresse da Lamanda?


<< L'analisi fatta da Lamanda è estremamente realistica, poiché mette l'accento sulla debolezza del sistema delle Piccole e Medie Imprese italiane. Infatti se paragoniamo il nostro sistema delle PMI a quello degli altri Paesi europei, salta fuori un fenomeno tutto italiano che possiamo chiamare microimpresa. Le nostre piccole imprese infatti hanno mediamente cinque, dieci o quindici dipendenti, mentre le piccole imprese della Germania o della Francia e di altri paesi europei hanno mediamente trenta dipendenti. Questo fatto però da una parte rappresenta una debolezza del nostro sistema, ma dall'altra, in tutti questi anni di ridimensionamento del sistema delle grandi imprese, ha assunto un ruolo di vero e proprio ammortizzatore sociale, assorbendo cioè l'eccedenza di manodopera proveniente dalle grandi imprese >>.

Nel corso della presentazione del Global Outlook, il vice presidente dell'Istituto Affari Internazionali, Paolo Guerrieri, si è soffermato sulla necessità di un massiccio rilancio delle politiche e degli strumenti di promozione e supporto dei processi di internazionalizzazione del Sistema Paese. È vero?

<< Sì è vero, oggi più che mai i mercati sono globali. L'internazionalizzazione è un dato di fatto, quindi bisogna guardare lontano, senza però dimenticare che ci sono delle realtà che per le loro caratteristiche non riusciranno mai a fare questo passo qualitativo. Ma non per questo sono destinate a sparire, poiché esiste comunque un mercato locale o nazionale a cui soddisfare le proprie esigenze >>. 


Altrimenti potrebbero pensare di riconvertire la propria produzione?

<< Attenzione, un'azienda che è legata all'indotto automobilistico non può inventarsi da un momento all'altro un altro prodotto. Nell'ambito del proprio settore si può cercare un'altra clientela, magari adattando la produzione a questi nuovi clienti. Ma pensare di riconvertire il proprio sistema produttivo significa investire milioni di euro, che per una piccola impresa è una scelta faticosa. Io credo che, attenendosi alle richieste del mercato, ci sia ancora spazio per le PMI nel settore della componentistica. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di mettersi in rete in modo da sostituirsi ai piccoli fornitori del secondo e terzo livello, oppure legarsi attraverso forme consortili e competere con altre realtà, ma pensare di cambiare mestiere è tutta un'altra storia >>. 

Cos' è cambiato da quando avete presentato la vostra indagine tra le imprese dell'indotto auto fino ad oggi?

<< Praticamente nulla, poiché avevamo già intuito che la crisi era "una crisi annunciata" e che le sue condizioni non possono che peggiorare, fino a quando naturalmente non ci sarà una situazione di recupero del grande committente Fiat. È questo avverà solo quando il piano industiale presentato in questi giorni non diventi efficace. Ma nel frattempo, se non si correrà ai ripari, molte piccole e medie imprese rischieranno di non sopravvivere >>.

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